Testo di Jean Musitelli | Traduzione di Giovanni Roggia
Per leggere l’articolo nella sua versione originale, fai clic qui
Este articulo está disponible también en español: Haga clic aquí
L’Europa attraversa la vita e l’azione politica di François Mitterrand come un filo rosso. Per più di mezzo secolo, egli ne ha vissuto tutti gli episodi, ne ha conosciuto tutti gli attori.
Alcune date-chiave testimoniano la costanza del suo impegno europeo. Nel 1948, da giovane deputato, egli assiste al Congresso dell’Aia, dove si stavano riunendo i padri fondatori dell’Europa del futuro. In seguito, egli aderisce al Movimento europeo. Nel 1953 si astiene dal sostenere il progetto di Comunità europea di difesa (CED), affermando che questa non possiede nulla di europeo al di fuori del nome. Nel 1965, in veste di candidato di sinistra alle elezioni presidenziali contro il generale De Gaulle, egli fa dell’Europa uno dei cavalli di battaglia della propria campagna, a dispetto delle posizioni antieuropee dei suoi alleati comunisti. Nel 1973, come primo segretario del Partito socialista, impone ai suoi colleghi politici – che giudica troppo miti – una linea più favorevole alla costruzione europea. Nel 1983, da Presidente della Repubblica, sceglie di mantenere la Francia nel sistema monetario europeo contro coloro che sostenevano il ripiegamento nazionale e la soluzione protezionista. Nel 1992, egli mette in gioco la sua autorità politica proponendo un referendum sul Trattato di Maastricht, sebbene niente lo obbligasse a farlo.
Ci sono molti modi di essere europei: quella degli idealisti e quella dei realisti, dei politici e dei tecnocrati, dei federalisti e degli unionisti. Quella di Mitterrand appartiene soltanto a lui: essa si distingue per una convinzione tenace e un pragmatismo di fondo. È noto che la convinzione senza il pragmatismo sfocia generalmente nell’impotenza e che il pragmatismo senza la convinzione degenera presto in opportunismo. François Mitterrand si è sforzato di lavorare il più possibile vicino alle realtà, di accorciare la distanza tra l’auspicabile e il possibile, senza perdere di vista la dimensione ideale legata a quella che ha definito « la grande avventura che resterà l’opera maggiore della nostra generazione ».
La vocazione europea.
Da dove viene la vocazione europea di François Mitterrand? Non è tanto nella sua formazione intellettuale che bisogna cercarne l’origine, quanto piuttosto nella sua esperienza vissuta da uomo del XX secolo che ne ha conosciuto tutte le lacerazioni e tutti gli sconvolgimenti. Egli ne ha tratto due grandi lezioni: la prima, che l’Europa doveva unirsi per sopravvivere; la seconda, che il futuro della Francia si inscriveva in questo orizzonte.
La necessità dell’Europa per la pace.
Per François Mitterrand, l’Europa non è né una chimera né un’utopia. É un’opera di buonsenso dettata da una necessità storica : evitare che si ripeta il male assoluto, rappresentato dalle due guerre mondiali. « Io sono nato durante la Prima guerra e ho fatto la Seconda. Ho visto cosa questa fosse. Ho visto due grandi popoli […] ricchi di cultura e di storia distruggersi ». Egli è stato fatto prigioniero in Germania per diciotto mesi, è evaso al suo terzo tentativo dopo aver fallito per due volte, ha scoperto la Liberazione e l’orrore dei campi di sterminio dopo essere stato uno dei primi ad entrare in quello di Lanzberg, nel maggio del 1945. « Dal 1948, ho percepito come un imperativo la necessità di riconciliare questi due popoli ». Non smetterà di rendere omaggio agli « uomini che rifiutano le concatenazioni dell’odio e la fatalità del declino », gli Adenauer, De Gasperi, Spaak, Schuman, Jean Monnet. Non bisogna cercare altrove le ragioni dell’alleanza strategica instaurata da Mitterrand con Helmut Kohl e del perché la coppia franco-tedesca abbia costituito l’insostituibile motore della costruzione europea negli anni ‘80 e ‘90.
Per François Mitterrand, l’unità dell’Europa non è solamente necessaria ma possibile, in quanto la lezione che egli ricava dalla storia non è univoca. Se le nazioni europee non hanno mai smesso di affrontarsi in conflitti sanguinosi, esse hanno anche condiviso, per secoli, una cultura e dei valori comuni, forgiati da una lunga tradizione di scambi. Mitterrand non manca mai di riferirsi al suo patrimonio: le università del Medioevo, lo sviluppo del Rinascimento, la diffusione dell’Illuminismo, i movimenti nazionali di liberazione, l’emancipazione delle classi operaie e le dottrine sociali sono reperti comuni che hanno plasmato un modo di essere europei, distinto dal resto del mondo e atto a legittimare l’aspirazione a unirsi.
La necessità dell’Europa per la Francia.
L’amore di Mitterrand per la Francia e l’ambizione che egli nutre per il suo paese sono fondamentali per molti dei suoi impegni europei. Mitterrand pensa che il destino della Francia sia strettamente legato al successo della costruzione europea. « Giudico complementari l’indipendenza della Francia e la costruzione dell’Europa », scrive nel 1986. Per De Gaulle, l’Europa è un’opzione ; per Mitterrand, una necessità. Laddove, privilegiando l’« Europa delle patrie », il primo rifiuta infatti ogni condivisione di sovranità, il secondo spazza via la contraddizione e lancia la formula: « la Francia è la nostra patria, l’Europa è il nostro futuro ».
Pur essendo datato e costante, l’impegno europeo di Mitterrand ha trovato la sua piena espressione solo negli anni del potere presidenziale. Durante la Quarta Repubblica, le responsabilità ministeriali che egli ricopriva non gli permettevano di influire in maniera significativa sugli sviluppi della costruzione europea. In quel periodo, le sue preoccupazioni erano più orientate verso i problemi dell’Unione francese e della decolonizzazione, ai quali consacrerà due libri, che costituiranno un dossier estremamente urgente per i dirigenti della Quarta Repubblica.
Nel 1954, egli si astiene dal voto sulla Comunità europea di difesa, la quale – scriverà poi – avrebbe costituito una « Europa dei marescialli » che, in assenza di un potere politico europeo, sarebbe stata governata da Washington. Già si manifestava uno dei punti cardine del pensiero europeo di Mitterrand: la Francia deve impegnarsi solamente in un’Europa pienamente europea e non in una costruzione illusoria creata come paravento di una qualche egemonia.
L’Europa come creazione politica : un’architettura in movimento.
Possiamo parlare di una filosofia mitterrandiana dell’Europa? Certamente no, se la intendiamo nel senso dottrinale del termine. François Mitterrand non è né un dottrinario, né un ideologo. Non ha in testa un modello teorico come guida immutabile per l’azione. Egli conosce troppo le contingenze e gli oneri dell’azione politica – a maggior ragione internazionale –, la parte imprevista propria a tutta l’attività umana, per fidarsi ciecamente delle teorie. L’Europa si costruisce con le idee, ma soprattutto con gli Stati: essi rappresentano un materiale resistente e non facilmente malleabile. Egli sa che ci vorrà del tempo per piegare i vecchi Stati-nazione che la costituiscono a delle discipline comuni e a mettere assieme i loro interessi divergenti. Egli crede agli artigiani più che ai profeti, al metodo più che all’incantesimo.
In quanto uomo d’azione, Mitterrand dà più importanza al metodo che alla teoria. È convinto che l’Europa che si deve costruire non risponderà ad alcun modello preesistente. Essa è da inventare. Deve essere inventata strada facendo, progredendo per tappe senza che sia forzatamente posta, in principio, la questione della sua finalità. Bisogna creare dall’irreversibile, capitalizzare delle realizzazioni concrete che generino delle solidarietà di fatto e modifichino il comportamento degli attori. Egli sa che se si comincia dall’istituzionale si mette l’accento su ciò che separa, in quanto in questa materia le visioni degli Stati sono naturalmente discordanti. L’importante, agli occhi di Mitterrand, è quindi di andare avanti anche se il punto d’arrivo resta ipotetico. È importante la pertinenza della direzione di marcia più che la certezza del risultato finale. Egli vede in questo la sola maniera di ridurre le divergenze strutturali tra paesi europei e giudica possibile superarle tramite il movimento.
Ciò conduce ad un modello istituzionale sui generis, senza precedenti, che combina progressivamente degli elementi di un sistema federale che implica una condivisione di sovranità, di cui l’unione monetaria è l’esempio più evidente, e dei settori – come la diplomazia e la difesa – che dipendono ancora, a questo stadio, dalla cooperazione intergovernativa. Un tale sistema ha i suoi inconvenienti e i suoi vantaggi. Inconveniente, soprattutto agli occhi di coloro che sognano una vera Costituzione europea: la sua complessità che lo rende difficilmente comprensibile ai cittadini. Vantaggio: una grande flessibilità che lascia la strada aperta a ogni possibilità e permette allo stesso modo di portare a termine, quando le circostanze lo concedono, delle svolte clamorose oltre che predisporre delle pause quando i conflitti di interesse riprendono il sopravvento.
Una visione eminentemente politica.
Più che una teoria, bisogna dunque individuare le idee fondamentali che strutturano la visione mitterrandiana. Tutte le domande che egli si pone portano a questi quesiti : come l’Europa può affermarsi e far valere i propri interessi sulla scena mondiale? Come risolvere l’emergenza di un mondo multipolare e meglio equilibrato? Come organizzare il continente europeo per assicurare la sua stabilità in modo duraturo? Come preservare il modello di società e l’identità dei paesi che la compongono?
Anche la sua volontà di inscrivere l’unificazione dell’Europa nel campo della storia reale – quella dei rapporti di forza – è ascrivibile all’ambito della politica. Essa si fonderà sugli Stati-nazione, che rimangono al centro di tutta la geopolitica europea. La struttura di base della costruzione resta intergovernativa. Detto ciò, Mitterrand non è ostile al federalismo, neanche lontanamente. Ma egli teme che l’esposizione prematura di una visione federalista avrebbe provocato, in Francia, una levata di scudi e, nel consesso europeo, una rottura da parte di coloro che ne sono radicalmente oppositori, il Regno Unito per primo. Bisogna andare verso una condivisione sempre più ampia di sovranità, ma senza bruciare le tappe, preparando accuratamente il terreno per ogni progresso, come accadrà per l’unione monetaria.
Europa politica non deve essere intesa come Europa partigiana. L’Europa non ha niente a che vedere con una ideologia. Ai suoi occhi, essa le trascende tutte. A più riprese, egli si oppone ai suoi colleghi socialisti su questo punto.
La dialettica politico-economica.
Tuttavia, le sue convinzioni di uomo di sinistra non sono assenti dal suo progetto europeo. Esse lo ispirano nel profondo. Egli si separa radicalmente dalle concezioni liberali che vedono soprattutto nell’Europa la costruzione di uno spazio economico senza barriere, di un mercato senza regole, che offre alle compagnie multinazionali un terreno di manovra adeguata alle loro dimensioni. Per Mitterrand, che trae ispirazione dalla teoria keynesiana, l’Europa è al contrario un luogo nel quale l’intervento pubblico continua ad avere una sua necessità e legittimità. Il Presidente francese è convinto che l’Europa possa dare il suo contributo nella lotta alla disoccupazione, anche se la responsabilità principale appartiene alle politiche nazionali. Nel 1981, egli provoca lo stupore divertito dei suoi colleghi proponendo la creazione di uno spazio sociale europeo. Egli raggiungerà comunque parzialmente i suoi obiettivi ottenendo a Maastricht, undici anni più tardi, che la Carta sociale sia adottata da undici Stati membri malgrado l’opposizione britannica.
É chiaro che per Mitterrand l’Unione non può essere ridotta alla sola dimensione economica e commerciale: « L’Europa non è una fabbrica. Essa non è soltanto un mercato » dice davanti al Parlamento europeo, a Strasburgo, il 25 ottobre 1989. Ciononostante, il Presidente francese è uno degli artefici più attivi della moneta unica. A partire dal 1988, la realizzazione dell’Unione economica e monetaria (UEM) costituisce la sua priorità dichiarata. Nella sua Lettera a tutti i francesi per la rielezione alla Presidenza della Repubblica nel 1988, egli scrive, profetico: « A condizione che gli europei si decidano, l’ecu costituirà con il dollaro e lo yen uno dei tre poli del nuovo ordine monetario ». Fedele in questo al metodo di Jean Monnet, egli pensa che, se la moneta unica non può sostituirsi all’unificazione politica, che resta l’obiettivo ultimo, essa deve costituirne il motore e favorire il rilancio di una dinamica istituzionale che per il momento resta bloccata.
L’esigenza democratica.
Come per l’Europa dei commercianti, François Mitterrand non ha simpatia nemmeno per l’Europa dei tecnocrati. Ciononostante egli non cade nella demagogia anti-Bruxelles, ma crede che il compito di costruire l’Unione non possa essere lasciato a una piccola élite, per quanto illuminata sia. L’Europa ha bisogno di un battesimo democratico. Deve essere messa al centro del dibattito pubblico in modo da suscitare l’adesione cosciente dei cittadini. Per trent’anni, la costruzione europea è stata tra le mani di una avanguardia di tecnici molto competenti. Dal momento che si tratta di dare all’unificazione un aspetto risolutamente politico, poiché la sfida non verte più su questioni tecniche ma sulla condivisione di sovranità in ambito monetario, diplomatico e militare, i suoi promotori non possono eludere la prova e la sanzione democratica. Il desiderio di evitare che si allargasse il divario tra élites e popolazione lo condurrà a sottomettere l’indigesto Trattato di Maastricht all’approvazione dei francesi per la via molto rischiosa del referendum e a gettarsi con tutto il proprio peso nella battaglia per far prevalere il « sì ».
« L’Europa deve essere se stessa ».
L’Europa politica è anche un’Europa sovrana, capace di prendere in carico in maniera autonoma la sua diplomazia e la sua sicurezza. Non esiste vera sovranità europea senza questo attributo essenziale. « Ogni corpo politico giunto, in un modo o nell’altro, alla coerenza, acquisisce i riflessi della propria durata », osserva nel 1986. Per constatare subito dopo: « l’Europa non è ancora a questo punto ».
Se Mitterrand tiene tanto all’autonomia dell’Europa, è perché non sopporta la situazione di tutela nella quale le circostanze l’hanno messa dopo la guerra. L’Europa, cessando di essere l’artefice della propria storia, era diventata oggetto e obiettivo della rivalità tra due imperi. Certo, il Presidente francese evita di mettere sullo stesso piano l’impero americano e l’impero sovietico. Non ha mai rinunciato alla solidarietà atlantica, soprattutto nei momenti di crisi. Ma la tutela americana in ambito militare rappresenta un peso. Egli sa che l’Europa non sarà in grado di essere pienamente responsabile del proprio destino finché si affiderà alla protezione americana per salvaguardare la sua sicurezza. « Noi non possiamo concepire un’ Europa solida, scrive nel 1988, se questa si rivela incapace di assicurare da sola la sicurezza dei popoli che la compongono. Non possiamo neanche concepire una difesa comune senza l’autorità di un potere politico centrale ». Egli non si fa illusioni sulla possibilità di raggiungere a breve termine un obiettivo così ambizioso. Ciononostante, egli otterrà a Maastricht, dopo un’aspra battaglia contro i britannici, l’indicazione nel Trattato sull’Unione Europea dell’obiettivo di « una politica di sicurezza comune che possa condurre in futuro a una difesa comune ».
La geografia contro la storia.
Infine, la necessità di costruire un insieme ovest-europeo solido e prospero è inseparabile da una visione globale del continente. Mitterrand ha sempre pensato che il primo dovere della Comunità fosse quello di non dimenticare l’altra parte dell’Europa, quella che per quarant’anni era stata sradicata dalla sua storia e privata della sua identità. Negli anni ’80, egli lancia lo slogan « Dépasser Yalta » (“superare Yalta”). « Voglio che ci abituiamo a considerare la divisione attuale tra le due parti dell’Europa come una frontiera di circostanza. Se la storia è multipla, la geografia è una » dichiara nel 1988. Dopo la caduta del Muro di Berlino e le rivoluzioni per la libertà a Est, egli si preoccupa della sorte delle nuove democrazie, liberate dalla tutela sovietica ma abbandonate a se stesse e a far fronte a dei problemi inestricabili. Il 31 dicembre 1989 lancia l’idea di una Confederazione europea che permetterebbe di ristabilire una continuità nello spazio europeo tramite una istituzione di dialogo e di cooperazione che riunisca, intorno al nucleo comunitario, tutte le nazioni democratiche del continente. Mitterand vede nella Confederazione il modo più sicuro per l’Europa di premunirsi contro l’insorgenza che egli sente crescere, nei Balcani in particolare, di un nazionalismo aggressivo sulle macerie dell’impero sovietico. Non avendo dato seguito a tale progetto, l’Unione dovrà fronteggiare, senza essere preparata, il doloroso problema del disfacimento incontrollato della Jugoslavia.
L’Europa in azione.
Non si tratta qui di ritracciare nel dettaglio l’insieme delle azioni portate a termine da François Mitterrand durante i quattordici anni in cui ha esercitato la massima carica dello Stato. Vorrei invece illustrare i due momenti chiave della sua azione, quelli dove il destino della costruzione europea ha portato ad un esito soddisfacente: il periodo 1984-85, quello del rilancio dopo un lungo periodo di stagnazione, e il periodo 1989-91, dove il crollo del blocco sovietico e la riunificazione tedesca fecero vacillare il progetto europeo.
1984-85 : lo sblocco e il rilancio della Comunità.
Quando Mitterrand arriva al potere nel 1981, la Comunità europea è insabbiata. È il momento dell’”europessimismo”. Dal 1979, data della creazione del sistema monetario europeo e della prima elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale, nessun progresso era stato registrato. L’Europa resta immobile. Non si disegna nessuna prospettiva politica. Il piano Genscher-Colombro resta lettera morta. I contenziosi di natura tecnica si accumulano: eccedenze di latte, importi compensativi monetari, fissazione della PAC, finanziamento dei programmi mediterranei, ecc. I Consigli europei successivi sono incapaci di regolarle. La responsabilità principale ricade sul governo conservatore britannico. Margaret Thatcher ha preso l’Europa in ostaggio. Il Primo Ministro inglese blocca tutte le decisioni essenziali aspettando che si obbedisca alla sua ingiunzione: « Give me my money back » (“ridatemi i miei soldi”). L’allargamento da dieci a dodici membri è ugualmente in panne. La Francia, per bocca del suo precedente Presidente, Giscard d’Estaing, ha rigettato il calendario previsto per l’integrazione della Spagna. I Dieci danno triste spettacolo di litigi da negozio. Gli interessi nazionali, alle volte i più meschini, prendono il sopravvento sulla volontà comune. Di fronte a tale blocco, François Mitterrand reagisce in due tempi: il regolamento del contenzioso prima di tutto, e poi il rilancio. Innanzitutto, egli prende due decisioni che consolideranno la sua credibilità europea: il 19 gennaio 1983, con il suo famoso discorso al Bundestag, egli sostiene la posizione di Helmut Kohl, favorevole al dispiegamento dei missili della NATO, e getta anche il fondamento di una alleanza duratura con il Cancelliere tedesco. La relazione personale di fiducia e di amicizia che si stabilisce allora sarà uno degli elementi chiave della dinamica europea nel periodo 1984-95. Successivamente, il 21 marzo 1983, egli decide di mantenere il franco nel sistema monetario europeo contro il parere di tutti coloro che, dopo due svalutazioni infruttuose, lo esortavano a liberare la Francia dai vincoli monetari del sistema per permetterle di ritrovare un margine di manovra economica. Con questo atto fondatore, egli colloca definitivamente l’impegno europeo al centro della politica del governo socialista.
Queste due decisioni conferiscono a François Mitterrand la sua statura di leader europeo. Egli potrà giocare un ruolo fondamentale nella soluzione dei contenziosi in occasione della presidenza francese della Comunità, nel primo semestre del 1984. Si impegna personalmente in maniera notevole. Egli farà il tour di tutte le capitali europee. Al Consiglio di Fontainbleau nel giugno del 1984, l’accordo franco-tedesco prova la sua efficacia: Thatcher, isolata, presa nella tenaglia, è obbligata ad accettare un compromesso sulla contribuzione britannica. Sedici altri dossier spinosi, in sospeso da molti anni, sono risolti immediatamente: accordo sul budget, sulla politica agricola comune, sull’allargamento, ecc.
La chiusura dei contenziosi permette di rilanciare l’unificazione europea. Il terreno è spianato per fissare un grande progetto: il completamento, prima del 31 dicembre 1992, del mercato unico che dovrà assicurare la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali all’interno delle frontiere dei Dodici. Il primo gennaio 1986, la Spagna e il Portogallo aderiscono alla Comunità europea. In meno di due anni, l’Europa è stata rimessa sui binari e François Mitterrand è apparso come il catalizzatore di questa ripresa.
La fine della guerra fredda.
Il secondo grande snodo decisionale è il periodo che va dalla fine del 1989 al 1992, dalla caduta del Muro di Berlino alla ratificazione di Maastricht.
Il 9 novembre 1989 il Muro di Berlino, simbolo della rottura dell’Europa in due blocchi antagonisti, è abbattuto. Il 31 dicembre 1991, l’URSS finisce per disintegrarsi. Tra queste due date, l’Europa attraversa una fase di profonda incertezza. Incertezza sulle intenzioni della Germania : con la riunificazione, escluderà la via europea per giocare la carta nazionale e riorientare i suoi interessi verso la Mitteleuropa? Incertezza sulla risposta da fornire ai paesi dell’Europa dell’Est che, riconquistate le loro libertà, bussano alla porta della Comunità e ne aspettano il sostegno.
La domanda che si pone François Mitterrand è la seguente: come evitare che due avvenimenti incredibilmente positivi, il crollo dell’Impero sovietico e l’unificazione tedesca, non conducano alla conseguenza paradossale di un indebolimento dell’integrazione europea? Per quarant’anni, in effetti, la minaccia sovietica ha certamente costituito per le nazioni dell’Europa democratica un incitamento a superare le loro differenze e a unirsi. Una volta che questa minaccia sparisce o è fortemente attenuata, l’affectio societatis verrà sostituita? Egli teme sopra ogni cosa il ritorno a una Europa instabile, con le frontiere oggetto di controversia. Durante questo periodo, Mitterrand è animato da una convinzione fondamentale: per fissare la Germania riunificata nella Comunità europea, è indispensabile rafforzarne la coesione e l’integrazione politica. Le sorti dell’Europa sono, più che mai, legate a quelle della Germania. Di fronte all’accelerazione dei cambiamenti ad Est, non c’è altra alternativa che soffiare sul fuoco dell’unificazione, in pieno accordo con la Germania e giocando sui due tavoli, quello politico e quello economico. È la scelta strategica che fa Mitterrand nell’inverno 1989-90.
Bisogna inoltre convincere il cancelliere Kohl. Per il presidente francese, l’unificazione tedesca deve compiersi nel rispetto degli interessi e delle preoccupazioni di tutti gli Europei. Ciò darà luogo a degli scambi talvolta tesi, in particolare sulla questione del riconoscimento della frontiera con la Polonia. Infine, Mitterrand e Kohl si ritrovano su una idea di fondo: legare indissolubilmente l’unificazione tedesca e l’unificazione europea.
Un primo passo è compiuto al Consiglio europeo di Strasburgo riunitosi nel dicembre 1989, con la fissazione di una data per l’apertura della conferenza intergovernativa sull’Unione economica e monetaria. È stato necessario convincere il Cancelliere, reticente a imboccare la strada della banca centrale e della moneta unica. Nell’aprile 1990 è presa la decisione, su una proposta congiunta di Kohl e Mitterrand, di convocare una seconda conferenza consacrata a mettere in piedi l’Europa politica. Questi lavori conducono al Consiglio di Maastricht nel dicembre del 1991 sull’adozione del “Trattato sull’Unione Europea” che completa l’unione economica e monetaria e getta le basi dell’unione politica. Sul primo punto, l’irreversibilità del processo è assicurata dalla fissazione di una data per il passaggio alla terza fase, quella della moneta unica. Per quanto riguarda il rinforzo dell’integrazione politica, essa è avviata a partire da una serie di decisioni riguardanti, in particolare, la creazione di una politica estera e di sicurezza comune (PESC), la cittadinanza europea, l’estensione del voto alla maggioranza qualificata e l’allargamento dei poteri del Parlamento europeo. Il Trattato di Maastricht rappresenta, indipendentemente dai suoi limiti e dalle sue imperfezioni, il risultato di uno sforzo collettivo per superare le contraddizioni e le incertezze provocate da una congiuntura storica particolarmente delicata e per dare al progetto europeo uno slancio qualitativo decisivo.
Conclusione.
Il giorno in cui il Presidente francese ha lasciato i propri incarichi, nel maggio del 1995, Helmut Kohl ha pubblicato su “Le Monde” un articolo intitolato: Il grande Europeo che se ne va. Dopo qualche anno, possiamo constatare che l’omaggio non ha perduto affatto la sua pertinenza.
François Mitterrand ha agito da traghettatore per l’Europa. Egli l’ha aiutata a superare senza lesioni una fase di transizione nel corso della quale la sua unificazione ancora fragile fu messa a dura prova.
Per leggere l’articolo nella sua versione originale, fai clic qui
Este articulo está disponible también en español: Haga clic aquí