Sala gotica, 18 gennaio 2016
Omaggio | di Jean-Pol Baras, 24 febbraio 2016 | Traduzione di Giovanni Roggia
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Su invito dell’associazione “Immagine dell’Europa a Bruxelles” e del suo Segretario generale Patrick Huart, il Municipio di Bruxelles ha accolto il 18 febbraio 2016 un omaggio “Europeo” al Presidente François Mitterrand. La manifestazione è cominciata con un discorso di apertura di Jean-Marie Amand, in nome della città di Bruxelles; in seguito Gilles Ménage, Segretario generale, è intervenuto per l’IFM. Jean-Pol Baras, segretario generale del Partito socialista belga dal 1995 al 2008, delegato dei governi della Federazione Vallonia-Bruxelles e della Vallonia a Parigi dal 2008 al 2013 e autore del Giornale di un giurista di campagna. François Mitterrand da un capo all’altro, ha pronunciato un lungo discorso sul tema “Mitterrand l’Europeo”, testo che pubblichiamo qui di seguito.
Omaggio a François Mitterrand
Non si deve fare affidamento sulle scoperte dei comunicatori, questi nuovi guru. Sono spesso delle scoperte fittizie. Nel dicembre del 1942, un prigioniero di guerra evaso racconta in un articolo di rivista intitolato Pellegrinaggio in Turingia i suoi sei mesi di cattività a casa di un carpentiere tedesco ammiratore di Napoleone, lettore di Goethe e di Schiller, ferito due decenni prima a Verdun. Di ritorno da una passeggiata nel borgo, l’uomo scrive : « Tutto intorno a me continuava ad affermare il trionfo della forza tranquilla ». La forza tranquilla! Meno di 40 anni più tardi, questa espressione sarà scelta come slogan per costruire il suo manifesto elettorale e l’uomo diventerà Presidente della Repubblica francese. L’espressione ha ottenuto una fama emblematica; numerosi furono coloro che si misero a rivendicarne la paternità.
Dire e fare. Su questo si basano le alte personalità che marcarono la loro epoca, da Talleyrand a Victor Hugo. Non si deve interpretare; è meglio basarsi sulle tracce, servirsene e divulgarle come testimoni.
Non bisogna nemmeno aggrapparsi troppo agli anniversari storici. Il sistema decimale ce ne dà il pretesto distillando le stranezze delle date e facendo sì che la casualità si prenda gioco dei destini. Prudenza!
Vediamo, piuttosto: quest’anno celebriamo il ventesimo anniversario della morte di François Mitterrand e il centesimo della sua nascita. Tra l’8 gennaio e il 26 ottobre, altre targhe commemorative saranno installate, in particolare in occasione del famoso 23 aprile, giorno che ancora ci fa meravigliare per la straordinaria coincidenza che avvenne 400 anni fa: il più celebre scrittore britannico e il più celebre scrittore spagnolo che bussarono insieme alle porte del paradiso. Sarà anche il 500º anniversario della pubblicazione di Utopia, l’opera più importante di Thomas More, pubblicata dal tipografo Thierry Martens di Louvain, a qualche gomena da qui.
Appassionatodi letteratura e di Storia (una parola che egli scriveva sempre con una S maiuscola), François Mitterrand sarebbe stato senza dubbio interpellato per commentare questo incontro.
Poco sensibile alla filosofia, non credo che sarebbe stato attirato dalla personalità di Thomas More. Egli usava la parola utopia soprattutto nei suoi slanci lirici,per ricordare le conquiste ottenute grazie alle lotte sociali, affermando che « le utopie di oggi saranno le realtà di domani ».
Profondamente intriso di cultura francese, François Mitterrand non era poliglotta. Molto sensibile alla scelta della parola giusta, all’utilizzo del termine adatto, egli non si fidava delle traduzioni. Shakespeare, probabilmente, non figurava dunque tra le sue letture notturne.Per ciò che riguarda Cervantes, egli lo citava come un qualsiasi altro lettore di Don Quichotte. Da lui aveva tratto la famosa formula « lasciare il tempo al tempo » e amava l’allusione alla lotta contro i mulini a vento. Inoltre, durante la conferenza stampa a seguito del Consiglio europeo del 30 marzo 1982, diceva: « sono un seguace di Epitteto: per le cose sulle quali posso agire, agisco. Per le cose sulle quali non posso agire, non agisco. Permettetemi di trovare questo più efficace rispetto a lottare contro i mulini a vento ».
Scommetto che questa strana coincidenza del 23 aprile 1616 non avrebbe lasciato Mitterrand indifferente. In quanto uno scrittore suo amico, scomparso il mese scorso, Michel Tournier, ne era completamente soggiogato. Egli vi riconosceva un segno miracoloso, tanto più che quello era il giorno di San Giorgio, santo patrono della cavalleria che morìsempre in un 23 aprile, nell’anno di grazia 303, dopo aver abbattuto un drago, simboleggiando la vittoria della fede cristiana sul demone (che mi si consenta qui una parentesi in forma di strizzata d’occhioa Elio di Rupo, sindaco di Mons, immaginandolo accogliere François Mitterrand e Michel Tournier alle festività del Doudounella sua bellacittà, o visitando la sontuosa esposizione consacrata al mito di San Giorgio l’anno scorso in occasione della capitale europea della Cultura…)
Michel Tournier abitava in una canonica, a Choisel, nella valle di Chevreuse; Mitterrand gli rendeva visita ogni tanto per parlare di letteratura. Aveva scoperto che Tournier conosceva tutta l’opera di Émile Zola, un autore che lo appassionava « per il fatto che », precisava lui, « la sua opera letteraria è un’opera politica, anche quando egli non l’ha voluto, e che la sua opera politica è sempre rimasta letteraria ».
Ma Michel Tournier aveva un’altra caratteristica, più rara: egli era germanofilo, e l’erudizione che egli ne traeva interessava il Presidente al punto da migliorare le sue conoscenze sulla Germania.
Perché con François Mitterrand si ritorna sempre all’Europa. L’Europa è la grande questione della sua vita. Più egli entra nella Storia, più noi percepiamo questa costanza nel suo impegno. Come coloro che avevano conosciuto la guerra, egli sapeva attribuire all’espressione Mai più tutto questo! una funzione creatrice, segno di una volontà indefettibile, creatrice di un mondo nuovo da costruire sulle rovine dell’apocalisse estirpata.
Sì, all’indomani del terribile conflitto mondiale che scoppiò nelle nostre terre, la profezia di Victor Hugo che piantava la sua quercia prima di rientrare in Francia tre quarti di secolo prima, infiammava i cuori e motivava la ragione.
Si, in quell’epoca, l’Europa diveniva un ideale di vita comune.
Si, in quel tempo, si parlava di Stati Uniti d’Europa senza che questo sembrasse assurdo.
Leghe e associazioni nacquero dal 1946, che chiamavano a riunirsi gli Stati del Vecchio continente: le Nouvelles équipes internationales chrétiennes[1], il Movimento socialista francese per gli Stati Uniti d’Europa, la Lega europea di cooperazione economica, di ispirazione liberale, l’Unione europea dei federalisti e molte altre finirono per coordinarsi.
François Mitterrand è in prima linea negli incontri e nei congressi fondatori. Egli assistette naturalmente al famoso congresso dell’Aia dal 7 al 10 Maggio 1948, considerato la base della nascita di un federalismo europeo.
Più di 750 delegati provenienti da quasi tutti i paesi europei vi parteciparono. Erano stati invitati anche degli osservatori ufficiali provenienti da Stati Uniti e Canada.
Guy Spitaels [1]ci ha confidato con emozione che, durante la sua prima visita all’Eliseo, Mitterrand, al tramonto della sua vita, aveva cominciato fin dall’inizioparlandogli di questo incontro dell’Aia.
Spitaels si era limitato a dire: « Ero lì, e ci ho creduto »; Mitterrand aveva tagliato corto: « anche io », prima di ritornare subito alle cose del presente come per liberarsi della nostalgia.
Ciononostante, egli coglieva i momenti propizi per evocare quelle giornate. Ascoltiamolo, ad esempio, nel 1984, in occasione di un viaggio nei Paesi Bassi:
« Ecco,quasi 36 anni fa, proprio qui, e precisamente in questa sala dei Cavalieri dove ho l’onore di rivolgermi a voi, ho visto nascere un grande disegno sotto la presidenza di Winston Churchill… Appena usciti da una guerra che lasciava l’Europa ansimante,come colpita a morte, vent’anni dopo un conflitto che aveva ucciso la gioventù e lo spirito del secolo, per la prima volta, degli uomini e delle donne, ancora feriti e lacerati, ricoperti di dolore e di sangue delle battaglie della vigilia, giuravano di ricostruire insieme, meglio ancora, di inventare l’Europa riconciliata. Sì, ero uno di quelli. Con quella bella primavera, la vita ricominciava ».
E quello stesso anno 1984, quello stesso uomo davanti al parlamento di Strasburgo:
« Giovane parlamentare, assistevo a questo evento. Mi ricordo del mio stesso entusiasmo. Si ritrovavano lì tutti i fondatori dell’Europa di quella generazione, da Robert Schuman a De Gasperi.
Là si trovavano molti dei parlamentari e delle organizzazioni che nessuno aveva designato, che venivano semplicemente a offrire al mondo, in ogni caso all’Europa, una risposta ai suoi mali ».
Se c’è un anniversario storico la cui pertinenza potrebbe dare adito a piste fruttuose, sarebbe sicuramente questo! Avviso a coloro che amano affrontare delle sfide: recatevi il 7 maggio 2018 nella sala dei cavalieri di Binnenhof all’Aia…
È spaventoso rileggere oggi le conclusioni del congresso dell’Aia. Alla rinfusa: eliminazione delle restrizioni allo scambio di merci, convertibilità delle valute, mobilità della manodopera, assemblea Europea eletta a suffragio universale, più due dozzine di altri progetti, fino alla creazione di un centro europeo dell’infanzia, della giovinezza e della cultura.
Era, ricordiamolo, nel maggio 1948…le utopie che divennero realtà.
Nel 1953, Mitterrand fu ministro delegato all’Europa nel governo Lamiel. Non aveva aspettato la firma del trattato di Roma per impegnarsi nella costruzione europea, ma aveva capito molto velocemente, dopo i sogni progettatidurante le gloriose giornate dell’Aia, che il compito più pesante sarebbe stato quello di elaborare uno spirito europeo, la volontà di un destino comune.
Il ritorno al potere del generale de Gaulle arrivò qualche mese dopo la firma dell’atto di nascita simbolica dell’Unione Europea. Lunghi anni di opposizione totale non permisero a François Mitterrand di influenzare la costruzione europea.
Prima di mettere de Gaulle in ballottaggio nel dicembre 1965, rilanciandosi così in primo piano nella vita politica francese, aveva pubblicato Il colpo di stato permanente, un capolavoro di polemista, una requisitoria intransigente contro la monarchia gaullista. In esso troviamo solo alcune pagine consacrate all’Europa; ciononostante, esse sono molto virulente.
Eccone un esempio: « Il generale de Gaulle è passato, senza vederle, a lato delle grandi idee del suo secolo… privandola dell’Europa, allontanandola dall’assemblea delle Nazioni Unite, de Gaulle ha tolto alla Francia i veri strumenti che erano alla sua portata per giustificare le sue pretese all’influenza universale. Non ha capito ciò che ha fatto perdere al suo paese facendo perdere all’Europa i suoi anni più belli ».
Lo sviluppo che segue questa confutazione è sferzante: se l’Europa dei sei non decolla come potrebbe, è perché il nazionalismo gollista frena la sua costruzione. Il nazionalismo, une macchia che corrode la democrazia. Egli lo combatterà fino al suo ultimo respiro, come vedremo.
Il decennio che segue fu quello del rinnovamento socialista. Dopo il congresso di Epinay di giugno 1971, che aveva dato i natali al suo PS (sempre all’opposizione), egli dedicò il suo ideale europeo alla visita ai suoi compagni: Willy Brandt a Berlino e a Bonn, in primo luogo, ma anche Olof Palme a Stoccolma o Bruno Kreisky a Vienna, prima che sovvenga la fine della notte fascista nella penisola iberica e che altri amici e discepoli, Mario Soares a Lisbona e Felipe Gonzales a Madrid, preparino i loro paesi all’adesione, che sembrava venire da sé grazie al ritorno della democrazia.
L’evidenza non aveva bisogno di enfasi. Dal 28 settembre 1978, il primo segretario del partito socialista dichiara ai microfoni di France Inter: « Non possiamo negare che la Spagna, il Portogallo e la Grecia siano di questa Europa, essenzialmente di questa Europa, della sua cultura, della sua storia e della sua geografia. Sono dei paesi oggi democratici. Non chiuderemo loro la porta ».
La Grecia diverrà il decimo membro della CEE nel 1981, la Spagna e il Portogallo saranno l’oggetto del terzo allargamento, sotto il primo settennato, nel 1986.
Durante questo fruttuoso decennio in cui dei giovani entusiasti – “les sabras”, come egli li chiamava…- aderirono ai ranghi del partito socialista e lo aiutarono a conquistare il potere, egli non aveva modo di influire su un’Europa che lo deludeva, prigioniera dei suoi labirinti burocratici e dei suoi meandri amministrativi. Era l’epoca in cui Mitterrand amava constatare che « quando l’Europa apre bocca, è per sbadigliare ».
Venne infine il 10 maggio. L’Europa non è citata nella sua dichiarazione a caldo, da Chateau-Chinon, la sera della vittoria. Ma essa è inclusa in questa frase intimidatoria: « Centinaia di milioni di uomini sulla terra sanno questa sera che la Francia è pronta a parlar loro attraverso la propria lingua, che essi hanno imparato ad amare ». Il linguaggio che hanno imparato ad amare di lei… i fari dei secoli non sono mai dimenticati nel corpus di un discorso di Mitterrand. E quanto questa espressione risuona a ragione nei Figli dei lumi!
L’Europa non era nemmeno evocata nei due discorsi ufficiali che il nuovo Presidente pronuncia il 21 maggio, giorno del suo insediamento, al palazzo dell’Eliseo prima, all’Hôtel de Ville di Parigi dopo. Essa è però inscritta nelle sue preoccupazioni costanti. Dopo aver dato al suo paese delle riforme sociali che la Storia ricorderà così come quelle del Fronte popolare, egli decide, nel marzo 1983, di restare nel Sistema monetario europeo. Questo punto di svolta è ancora messo in discussione oggi. A distanza di tempo, bisogna ammettere che l’obiettivo era prima di tutto quello di non indebolire o ostacolare l’Europa, evitando di arrestare la sua edificazione.
Difendere l’Europa, promuoverla, è prima di tutto impedirle di ristagnare, metterla sempre in movimento. « Anche io sono contro gli euromissili. Solamente, constato che i pacifisti sono a Ovest e gli euromissili a Est; e penso che si tratti di un rapporto ineguale ». Questa semplice constatazione, che fa appello al buon senso, con aria indifferente, pronunciata qui, in occasione di un brindisi a lato del Re Baldovino nell’ottobre 1983, conferma ciò che aveva già evocato il 20 gennaio davanti al Bundestag e che gli aveva assicurato la fiducia di Helmut Kohl, mettendo fine a una crisi con l’Unione sovietica che durava dal 1977 e aumentando allo stesso tempo l’indipendenza dell’Europa nei confronti del grande protettore americano.
A partire da queste giornate, la costruzione europea prende uno slancio. Essa sarà totalmente marcata dall’impronta mitterrandiana, in quanto dal primo gennaio 1984 spettò alla Francia presiedere per un semestre il Consiglio europeo. Nel suo libro I mondi di Mitterrand, Hubert Védrine racconta che qualche giorno prima, egli aveva fatto venire il suo amico Roland Dumas all’Eliseo per annunciargli, davanti a qualche stretto collaboratore: « la nominerò ministro degli Affari europei e risolleveremo l’Europa ». Risollevare l’Europa, un’altra bella espressione che trova ancora, aimè, la sua pertinenza ai giorni nostri…
Cosa significava all’epoca? Prima di tutto fortificare il motore franco-tedesco che tutto il mondo riconosceva indispensabile allo slancio. Poi, mettere fine al ricatto che Margaret Thatcher intratteneva dal Summit di Dublino del 30 novembre 1979, il suo famoso diktat « I want my money back » [rivoglio i miei soldi], e riprendere le iniziative per far progredire la comunità. Il summit di Fontainebleau di fine giugno confermò gli obiettivi di Mitterrand: il duo con Kohl divenne trio grazie alla nomina di Jacques Delors a capo della Commissione; il cammino verso l’Atto unico e il Trattato di Maastricht era aperto, e quello degli accordi di Schengen già tracciato.
Le azioni che derivano dalle parole non devono occultare i simboli. Quando tre mesi più tardi, il 22 settembre, Francois Mitterrand prende la mano di Helmut Kohl a Verdun, davanti ad un catafalco che simboleggiava le morti della Prima Guerra mondiale, tutti i popoli d’Europa e degli altri continenti compresero che la riconciliazione franco-tedesca superava la semplice intesa attorno ad un ordine del giorno di riunione, che fu di certo importante e inaugurò una nuova era. Il decennio Delors, il più ricco e il più fecondo, ne sarà l’illustrazione.
La fine del primo settennato si profilava. Sollecitando un secondo mandato, François Mitterrand innova ancora. Egli scrisse un lungo documento di intenti che fece moltiplicare in milioni di copie. Contrariamente alla sua professione di fede del 1981, questa lettera ai francesi conteneva un capitolo europeo molto solido. Eccone un estratto: « far vivere insieme 12 paesi che la storia ha spesso diviso, talvolta crudelmente, esige attenzione in ogni istante: ma essa avanza. Essa è già la prima potenza commerciale del mondo e potrebbe, se lo volesse, diventare la prima potenza scientifica e tecnologica, la prima potenza agricola e contendere al Giappone e agli Stati Uniti il titolo di prima potenza industriale ».
Egli evoca poi la moneta comune che, « a condizione che gli europei si decidano, costituirà, con il Dollaro e lo Yen, uno dei tre poli del nuovo ordine monetario ». Siamo alla primavera del 1988. Rieletto Presidente della Repubblica, Mitterrand accorderà sempre più « un’attenzione costante » all’Europa, al punto che lascerà al suo Primo Ministro Michel Rocard il compito di occuparsi degli affari interni.
Visto che la Francia presidia di nuovo l’Europa a partire dal primo luglio 1989 e che la sua complicità con Helmut Kohl è totale, Francois Mitterrand gli propone di instaurare l’Unione economica e monetaria. Per il cancelliere, questo significa l’abbandono del marco, la moneta più forte della Comunità, una delle fierezze del suo popolo. Mitterand conosce l’entità del sacrificio che chiede al suo amico convincendolo ad agire in favore di una moneta comune, fondamento essenziale – secondo lui – per assicurare la stabilità. Ma ecco che la caduta del Muro di Berlino sconvolge la questione. È tutta l’Europa che bisogna ripensare. Si sono dette talmente tante assurdità rispetto alle presunte esitazioni e debolezze di Mitterrand di fronte a questo evento considerabile.
Qui, di nuovo, è bene tornare alle parole di Hubert Védrine, testimone privilegiato. « Ero a fianco di Mitterrand nell’ottobre 1981 », disse, « quando egli disse all’allora Cancelliere tedesco, Helmut Schmidt, che assisterà da vivo alla riunificazione tedesca ». Si aggiunga che nel suo libro La paglia e il grano, che riprende una selezione delle sue cronache per l’Unità, il settimanale del Partito Socialista, egli aveva già sottolineato che per lui gli accordi di Yalta erano obsoleti. Era il 1972!
Parliamo talvolta delle coincidenze tra le date. 4 mesi fa, ricordiamocelo, la musa birmana Aung San Suu Kyi ha fatto un’entrata Trionfale in Parlamento. Ci ricordiamo che il 10 dicembre 1991, agli arresti domiciliari, le fu impedito di recarsi a Oslo per ricevere il suo premio Nobel per la Pace. Gli storici avranno da fare con questa data. In quanto è sempre in questo 10 dicembre 1991 che fu concluso il Trattato di Maastricht, il cui solo contenuto meriterebbe una conferenza, e che riveste un’importanza equivalente a quella del Trattato di Roma. Il popolo francese lo ha ratificato con il referendum del 20 settembre 1992.
Fu l’ultima opera magistrale in favore dell’avanzata Europea che Mitterrand poté realizzare. Il suo secondo mandato non era affatto terminato, anzi; avrebbe potuto continuare il suo slancio, rinserrare le linee dell’approfondimento. Helmut Kohl era pronto, quando l’abbandono del marco e la riunificazione della Germania erano quasi sicure. Ma troppi parametri frenavano l’azione: la caduta del Muro di Berlino obbligava la Comunità a privilegiare l’allargamento piuttosto che l’approfondimento; nel piano interno, una nuova coabitazione si preparava, più delicata, più dura della precedente; il referendum sul Trattato di Maastricht era stato vinto ma di poco; la Francia non era pronta a dissolversi, ancor meno in una prospettiva federalista; e poi, la salute del Presidente era cagionevole.
Dopo le grandi opere, il tempo delle parole non era ancora terminato. Fino all’ultimo minuto del suo mandato presidenziale, Francois Mitterrand non ha smesso di invocare il riavvicinamento dei popoli europei. Due discorsi sono da incidere nel marmo. Quello pronunciato il 17 gennaio 1995 davanti al Parlamento di Strasburgo, sottoforma di messaggio d’addio, contiene delle lezioni di vita, dei consigli e una raccomandazione principale. In esso troviamo gli accenti di un militante della causa europea che ha conosciuto la guerra (« bisogna trasmettere »), la cattività, i suoi contatti con i tedeschi (« bisogna vincere i propri pregiudizi »). Le sue frasi risuonano oggi come degli avvertimenti più che mai pertinenti.
Ora che l’uomo è passato alla storia, è citato senza scrupolo da responsabili di ogni parte, alcuni vecchi avversari lo prendono anche talvolta come esempio. « I morti sono tutti brava gente », cantava Brassens. È bene che tutti i provocatori, gli ossessionati dal potere, quelli che si credono più maligni che il diavolo e che lo invitano alla loro tavola meditino su queste parole, premonitrici per molti stati membri dell’Unione: « bisogna trasmettere… bisogna vincere i pregiudizi… ciò che vi chiedo è quasi impossibile in quanto bisogna vincere la nostra storia e oltretutto, se non la vinciamo, bisogna sapere che una regola si imporrà, Signori e signore deputati: il nazionalismo, è la guerra! »
Infine, ci fu la famosa giornata del 8 maggio 1995, cinquantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra mondiale, 9 giorni prima di consegnare a Jacques Chirac le chiavi dell’Eliseo. Francois Mitterrand volle dimostrare che egli non celebrava una vittoria in Europa ma una vittoria dell’Europa. Dopo aver presieduto le cerimonie la mattina all’Arco di Trionfo, prese il volo per Berlino, dove pronunciò un inno appassionato sull’Europa, una sorta di testamento politico nel quale egli affermava: « Non sono venuto a celebrare la vittoria del mio paese di cui mi sono felicitato nel 1945. Non sono venuto a sottolineare la sconfitta, perché sapevo ciò che c’era di forte nel popolo tedesco, le sue virtù, il suo coraggio e, poco mi importa, la sua uniforme, e anche l’idea che abitava lo spirito dei suoi soldati che andavano a morire in così gran numero. Essi erano coraggiosi.
Accettavano la perdita della loro vita. Per una causa sbagliata, ma il loro gesto non aveva niente a che vedere con questo. Essi amavano la loro patria. Bisogna rendersi conto di questo. L’Europa, la costruiamo, ma amiamo al contempo le nostre patrie. Restiamo fedeli a noi stessi. Colleghiamo il passato al futuro e potremo passare il testimone in pace a coloro che seguiranno ».
Questi eventi berlinesi e queste parole dovevano, lo capiamo, abitare lo spirito di Helmut Kohl quando egli fece intravedere una lacrimail giorno dei suoi funerali a Notre Dame.
Non bisogna aggrapparsiagli anniversari storici. Se il pretesto offerto dal sistema decimale deve essere presentato e, con stima e affetto, approfondito, è importante non abbandonare il tema fino a quando l’annata non si sarà spenta.
Ilpersonaggio che noi onoriamo oggi lascerà una traccia nella Storia ben oltre quest’anno. Del resto, dall’inizio del prossimo, la Repubblica francese si ritroverà ancora di fronte al suo destino per fare nascere un nuovo quinquennio. Nel corso dei primi cinque mesi (almeno) del 2017, il nome di François Mitterrand ritornerà nei discorsi, nei commenti, nelle allusioni a favore o contro, nei duelli, nei dibattiti e, ovviamente, nei riferimenti.
Alle volte, le emozioni dei ricordi alimenteranno la memoria. Le forze dello spirito sono tenaci. Di già, esse ci ricordano che nei meeting della campagna presidenziale del 1974, si progettava un film prima ancora che il candidato occupasse la tribuna. Questo documentario ce lo mostrava all’opera, proponeva dei testimoni e sottolineava i suoi contatti con il popolo. Il film s’intitolava: Alcuni lo chiamano François. François… Un nome che è talmente adatto alla Francia…!
[1]Uomo politico belga di lingua francese. Presidente del partito socialista dal 1981 al 1992[1] Associazione di personalità e partiti politici di ispirazione cristiano-democratica nato nel 1947.